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Il
sultano e l’odalisca
La
titolare del magazzino che noleggia abiti per mascherate, per
ventennale esperienza, è in grado di capire al volo ciò di cui
hanno bisogno i clienti. Lei è convinta che chi si maschera va alla
ricerca di qualcosa che lo faccia apparire, almeno per una sera, ciò
che vorrebbe essere, e non è. Per questo è fornita degli abiti
giusti per stupire, per far ridere, per impaurire, per dominare, per
sedurre.
Il
sabato grasso si presenta al magazzino una ragazza bruttina, deve
andare al veglione dell’Ateneo – spiega -, dove é d’obbligo
essere mascherati e con la faccia coperta.
Questa
muso di coniglio, non è mai piaciuta a nessuno – considera
la titolare –, quello che serve è qualcosa che le dia
l’illusione di possedere un fascino
irresistibile.
Propone
un abito da odalisca, vari strati azzurri trasparenti, appena
punteggiati da paillettes argento, che danno l’illusione di un
corpo attraente. Velo che copre capo e viso e lascia vedere solo gli
occhi che, adeguatamente truccati, possono ammaliare. La ragazza è
dunque soddisfatta.
Più
tardi arriva un giovane sgraziato e timido, con la faccia di rospo.
Alla sua attenzione la titolare pone un abito da sultano, luminoso e
snellente, che attribuisce a chi lo indossa l’aria del dominatore.
Anche lui è soddisfatto.
Bene,
la sera al veglione l’animatore invita gli uomini a disporsi tutti
da una parte e le donne dall’altra. All’avvio della musica ogni
cavaliere cercherà la sua dama in base alle affinità degli abiti e
inizierà il suo ballo-gioco. Alla fine una giuria assegnerà un
premio alla coppia più azzeccata e che si è meglio esibita. Ed
ecco scendere in pista il mago con la strega, Arlecchino e
Colombina, il topo con la gatta, il cicisbeo e la dama, il cow- boy
e la pellirossa, così via fino a coppie azzardate e
improbabili.
Ovvio
che il sultano e l’odalisca si vengano incontro e si allaccino in
un tango che carica di energia. Seguono altri balli, poi
l’animatore dichiara finita la gara. Le coppie si sciolgono, molti
tolgono la mascherina, hanno i volti fradici e disfatti. Il sultano
e l’odalisca continuano a stare insieme col volto coperto. Parlano
di sé, dei loro interessi, si abbandonano al fou-rire. Prendono al
bar una coca con la cannuccia, lui beve attraverso la fessura della
mascherina, lei al di sotto del velo. Ballano per tutta la sera, ora
sciolti, ora teneramente abbracciati. Un pensiero turba entrambi:
prima o poi dovranno scoprire il viso e dissolvere l’illusione di
piacere. Differiscono quel momento. L’aria è pregna di fiati, di
sudore, di polvere di coriandoli, di profumi stantii; il respiro di
lui si condensa sotto la maschera, il mascara di lei cola sotto il
velo. Non hanno vinto la gara, ma che importa. Dopo le due di notte,
la sala si vuota. Il sultano accompagna l’odalisca all’auto,
ancora per poco sarà bellissimo per lei. E lei per lui.
«Vuoi
che mi tolga la maschera? – azzarda lui – non sarò molto
presentabile».
«Anch’io
non sarò al meglio». Tentenna lei.
«Però
dovremmo conoscerci, non credi»?
«Domani,
meglio domani. Al bar dell’Ateneo, alle undici. Io avrò un
giaccone bianco e una sciarpa verde».
«Io
un giaccone nero e la sciarpa gialla».
Il
giorno dopo al bar ci sono tutti e due, ma nessuno ha indosso gli
abiti-segnali. Si guardano intorno senza darlo a vedere, cercando di
percepire un gesto, una risata, un tono di voce. Il bar è affollato
e chiassoso, è impossibile riconoscere l’altro senza farsene
accorgere. Bisogna rinunciare. Ma forse è meglio così: portarsi a
casa il muso di coniglio e la faccia di rospo, lasciando intatto il
sogno di una notte di carnevale.

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