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L’eredità
di zia Cloe
Quando
Tullio Pepi, quarantenne gaudente e squattrinato, apprese dal notaio
di essere l’unico erede della vecchia matta prozia Cloe, per un
buon quarto d’ora rimase sotto shock. L’eredità consisteva in
una antica villa a tre piani sul promontorio del Circeo, con
splendida vista ed ampio giardino. Con la zia Tullio aveva rotto i
rapporti da almeno cinque anni, cioè dall’ultima volta che era
andato a batter cassa e garbatamente era stato messo alla porta.
Quell’eredità era dunque tanto inattesa quanto
provvidenziale, almeno a prima vista. Tullio, ancora confuso, già
pensava alla vendita del pregevole immobile come soluzione di tutti
i suoi problemi. Una manna dal cielo. Così all’improvviso. Cara
indimenticabile zia Cloe! … Ma… C’era un problema. L’eredità
era gravata da una condizione. La villa doveva rimanere la dimora
dei gatti della prozia,
vita natural durante (dei gatti), e solo dopo la loro morte, che
l’esecutore testamentario avrebbe verificato fosse avvenuta per
cause naturali, poteva essere ceduta ad altri. Lì, su due piedi
sembrava una sciocchezza. Ma non era così. Il notaio, piccolo e
pallido dietro l’immensa scrivania, invitò ripetutamente il
giovane a riflettere bene sulla convenienza di accettare l’eredità.
Si trattava, invero, di una villa malandata, bisognevole di massicci
e costosi interventi di restauro. Inoltre, a causa del suo valore,
le spese per la procedura ereditaria, da espletare entro sei mesi,
sarebbero state pesanti. Non era da sottovalutare poi il problema
gatti. Il notaio, fronte
corrugata ed occhi acquosi al di sopra degli occhialetti, invece di
compiacersi di comunicare una buona notizia, sembrava dolersi di
annunciare una catastrofe. Tullio si precipitò a prendere visione
della villa, portandosi dietro un amico architetto per una
approssimativa valutazione. “Villa Romita” da lontano appariva
superba sul roccione a picco, tutta avvolta nel suo scialle verde.
Ma da vicino… Nel giardino incolto, invaso da erbacce e
avviluppato di rami e tralci, i gatti spuntavano da ogni cespuglio,
si affacciavano da ogni albero, si rintanavano in ogni anfratto.
All’interno, l’incuria della zia e gli insulti del tempo
apparivano addirittura meno gravi dei danni provocati dagli abitanti
felini.
Tappezzerie
sfilacciate, tende strappate, porte e mobili scorticati, tappeti
imbrattati, letti ridotti a giacigli. Ovunque tanfo di orina, e
peli. Quanti erano? Duecento, trecento, mille? Quante le femmine che
potevano riprodursi? Dove cercarle e come prenderle per
sterilizzarle, nella speranza che nel giro di dieci anni tutti
passassero a miglior vita? E nel frattempo? Con quale denaro
l’erede avrebbe fatto fronte alle spese di successione? Quanto
valeva la villa in quello stato? Cosa sarebbe diventata tra dieci
anni?
Furono
questi gli interrogativi che turbarono i sonni e le veglie di Tullio
nei mesi che seguirono. Mentre l’architetto faceva calcoli, una
vecchiaccia laida e segaligna accudiva (si fa per dire) quell’esercito
di inquilini a quattro zampe, distribuendo avanzi di pasti raccolti
da chi sa dove. Era lei la custode testamentaria dei gatti e del
loro benessere. Grazie a un vitalizio doveva provvedere al loro
mantenimento e controllare che nessuno venisse a mancare per cause
sospette.
Per
meglio chiarirsi le idee Tullio dovette ingaggiare, oltre
all’architetto, un avvocato per cercare di sbrogliare la matassa
giuridica, un veterinario per pianificare l’aspetto demografico e
abitativo dei gatti, infine un consulente finanziario per ottenere
un prestito bancario con ipoteca sulla villa, onde far fronte agli
innumerevoli conti che quell’eredità maledetta ogni giorno
presentava. Allo scadere dei sei mesi, Tullio si presentò al notaio
più indebitato di prima, smagrito e isterico. Impensabile
ormai la rinuncia all’eredità. Comunque fossero andate le cose,
le banche potevano rivalersi sull’immobile, e forse qualcosa
sarebbe rimasta. Ma il notaio prospettò una terza possibilità:
vendere subito la nuda proprietà. Il prezzo della villa sarebbe
sceso di molto, si capisce, poiché l’acquirente non ne avrebbe
avuto l’immediata disponibilità. Per contro l’erede avrebbe
avuto il vantaggio di prendere il denaro subito, senza ricorrere al
credito. Avrebbe pagato le spese di successione e si sarebbe tolto
dal collo i creditori.
L’idea
era allettante. Ma richiedeva una giusta riflessione: bisognava
sopratutto vedere di quanto crollava il prezzo della villa. E se
qualcuno sarebbe stato disposto ad acquistare quello che era solo
ormai un contenitore dell’esercito felino.
Dopo
aver molto discettato sull’argomento, finalmente venne fuori che
il prezzo della villa si sarebbe ridotto a un terzo e che
l’acquirente c’era. Il notaio in persona.
Al
povero Tullio non rimase che ingoiare l’amara pietanza.
Un
anno dopo morì la vecchia custode. E i gatti? Tutti sotto
controllo. Non per niente la moglie del notaio faceva il
veterinario. E lo faceva da sempre per ”i protetti” della cara
indimenticabile zia Cloe.

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